Luca Cocco
#lingu@ggi
Tra il mondo del fare, l’opificio per eccellenza, e il mondo del dire, tra questi estremi, c’è (e non può non esserci) come interfaccia e strumento di raccordo proprio la narrazione. Ovvero la capacità di inserire il pensiero e l’azione, il dire e il fare, entro una trama comune che consenta agli interpreti dell’una e dell’altra vocazione di riconoscersi a vicenda come appartenenti allo stesso orizzonte civico.
La mancanza di questa trama comune tra il mondo delle professioni, più in generale del lavoro, e quello delle narrazioni è una delle cause tutt’altro che remote e occasionali delle rovine e del clima di decadenza in cui viviamo ormai da molti anni.
Il sogno di costruire qualcosa che guardi al cielo, ovvero che superi i limiti dello spazio e del tempo in cui siamo costretti, dipende dall’esistenza di un linguaggio comune, di una narrazione condivisa. Ogni volta che l’opificio, il mondo del fare, si dimentica
di essere interprete di una delle nostre numerose narrazioni collettive, si dimentica anche che il suo orizzonte non è l’edi cio che sta progettando, ma l’uomo che lo abita, l’unica creatura narrante del creato. Ecco perché il progetto è anche narrazione e l’urgenza di trovare una trama comune vale per noi come per tutti.
La s da dei progettisti oggi è ricordarsi di essere narratori a loro volta. Solo così questo smetterà di essere e comportarsi come un paese privo di trama.
#sinapsi_intelligenzaconnettiva #identità
“Se la parola è il ponte tra orizzonte mentale ed orizzonte reale, così è il paesaggio tra noi ed il mondo. E’, nello stesso tempo, dentro di noi e intorno a noi.” [Morelli Cepollaro. Paesaggio lingua madre]
Quando pensiamo, come usualmente si fa, allo spazio come a un insieme omogeneo in cui tutti i punti si equivalgono non teniamo conto che esso è sempre un intreccio specifico di tempi e di simboli, luogo di relazioni sempre diverse. Non è possibile avere un rapporto con l’ambiente in cui viviamo che prescinda non solo dalla percezione visiva e dallo sguardo, ma anche dal linguaggio con cui lo descriviamo e lo facciamo nostro.
In questo senso lo spazio è sempre e necessariamente intermedio tra ambiente interno e ambiente esterno. E’ il risultato di una trama di relazioni, che nel caso dell’ambiente nel suo complesso non sono solo di vicinanza, ma anche di prossimità socio-culturale, definibile come presenza di modelli condivisi di comportamento, fiducia reciproca, cooperazione, linguaggi e rappresentazioni comuni e comuni codici morali e cognitivi. E questa trama non è un dato da subire passivamente e al quale adattarsi, ma deve essere il risultato di uno sforzo collettivo di progettazione e di costruzione continua.
Quali sono i modi di innescare la forza innovativa di una comunità, più o meno organizzata e non necessariamente concentrata all’interno di uno spazio fisico delimitato?