C’è un limite al limite? E se sì, quali sono gli invisibili confini che delineano questa duplice dimensione? In che modo possiamo concepire il senso del limite in una società, come quella odierna, dove ogni passo e ogni scelta sembrano valicare il perimetro del possibile? Forse è difficile stabilire un’esatta distinzione semantica fra queste due entità esistenziali, e forse neppure esiste una separazione certa fra ciò è limite e ciò che supera il limite, quello che conta però è saper riconoscere il modo in cui queste due dimensioni coesistono.
Pitagora, come Anassimandro, considerano il mondo come teatro dell’eterna lotta fra contrari, una dualità riducibile all’irrisolta contrapposizione fra limitato ed illimitato, nel senso che il limite delimita l’illimitato, ed insieme generano l’armonia. Ma può valere ancora quest’idea?
In un mondo che nel corso degli ultimi mille anni ha geograficamente rovesciato il concetto dello spazio finito e definito – dapprima attraverso l’età delle scoperte continentali, poi attraverso la più recente globalizzazione – quello che in origine era limite è diventato illimitato, ovvero, una metamorfosi che ha determinato un conseguente spostamento dei confini, e talvolta anche una radicale polverizzazione degli stessi.
Se prima eravamo locale oggi dunque siamo globale.
Se prima eravamo analogici oggi siamo digitali.
Se prima eravamo presenza oggi siamo remoto.
Una alterazione di stati che ha mutato e rimescolato linguaggi, valori, relazioni, identità fisiche e mentali, superando quel senso divisorio fra dentro e fuori.
In questo scenario, quindi, appaiono svuotati di significato il concetto e la funzione di confine, ancor più se riferiti alla dialettica tra finito ed infinito, tra reale e virtuale, tra immanenza e trascendenza. Dunque, se la condizione umana è da sempre inscritta in un contesto di contingenza e di organizzazione dell’esistenza (sociale, normativa, istituzionale, economica), il problema è che ogni limite ed ogni norma sono oggi arbitrari, e le frontiere non sono che ancore ideali ormai incerte, quelle geo-politiche, quelle scientifiche e quelle cognitive.
Potremmo dire che oggi il limite è diventato illimitato. E ciò che prima non potevamo essere, oggi, invece, lo siamo. Un’ambivalenza di alterità che ci mette nelle condizioni di transitare continuamente fra molteplici dimensioni esistenziali.
Di certo, in tutti campi della vita umana, il senso e la concepibilità del limite derivano da una normazione, esplicita o tacita, diretta o indiretta: una normazione che dall’Illuminismo in poi è stata avversata denunciando tutti i limiti che il diritto, la politica e la tradizione avevano imposto alla società europea fino a quel momento, e rivendicando all’opposto l’applicazione illimitata del progresso scientifico e dell’innovazione biotecnologica.
Più apertamente, un superamento illimitato dei confini spaziali e temporali attraverso la tecnologia, lo sviluppo dei mercati, la libera circolazione delle merci, la crescita economica. Ecco, è in questo incrocio di istanze emancipatorie che il concetto del limite viene messo totalmente in discussione fino alle più recenti dilatazioni prodotte dalla scienza, capaci di trasformare l’uomo in non-uomo, l’organico in inorganico, il reale in virtuale.
Queste le trame dell’analisi su cui verterà la settima edizione consecutiva del Festival Officine Permanenti. Una riflessione a più voci che esplorerà in termini multidisciplinari il tema del IL-LIMITATO. Scrittori, musicisti, filosofi, esperti di comunicazione, pensatori, tutti insieme in un calendario di appuntamenti che si articolerà nell’arco del mese di luglio negli spazi dell’EXMÀ e nelle frequenze di Radio X, per capire da diversi punti di vista il senso del limite in un mondo che vive e si muove ormai senza limite.
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coscienza/incoscienza
analogico/digitale
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isola/confine
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presenza/remoto
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