Il pendolo della storia torna inesorabile dalla parte del caos, ci espone alle fratture del mondo in cui viviamo, rintocca sui vecchi confini, su antichi patti, su gerarchie decadute. Ci impone di scegliere una nuova via: complessità o semplificazione, staticità o mutamento?
Siamo nella transizione. Siamo nel passaggio. Siamo nel salto. E se all’ordine di ieri non corrisponde ancora nessun ordine nuovo, forse non è detto che un ordine sia davvero necessario per costruire un altro mondo.
Il Caos ci seduce, ci attrae, si moltiplica in modo virale, è un contagio dei linguaggi, delle paure, dei comportamenti, delle verità o delle non verità. Più apertamente è una condizione esistenziale che ritorna, che riprende il suo spazio, il suo primato.
Del resto, nasciamo da un Caos, e tutta l’evoluzione della nostra specie è retta dall’utopia di governarlo, di armonizzarlo, di farne organizzazione e sistema, linearità e regola. Il Caos, però, è libertà, è pulsione, è istinto creativo, e se è vero che la sua contrapposizione coincide con la dimensione dell’ordine, è altrettanto vero che può esistere disordine anche nell’ordine, o viceversa, ordine nel disordine. Un principio generatore che ci ricorda come nessuna forza strutturata, nessun essere organizzato possono sfuggire alla degradazione, alla disorganizzazione, alla dispersione. Di più. Nessun vivente può venir meno alla fine, e ogni creazione, ogni generazione, ogni sviluppo, ogni informazione devono necessariamente venire a patti con l’entropia.
Nella mitologia greca il Caos è la personificazione dello stato primordiale di vuoto, di buio, uno stato anteriore alla creazione. Etimologicamente, alla radice, è casualità, dissoluzione, intangibilità.
Per Platone è il luogo primigenio della materia informe a cui attinge il Demiurgo per la formazione del mondo ordinato, ovvero il Cosmo. Secondo la cosmogonia egiziana, invece, dal Caos esistente nacque il Cosmo, inteso come forza positiva in grado di contrastare la casualità indifferenziata e distruttrice. Una linea sulla quale si muovono anche i miti cinesi e indiani. Mentre, sulla sponda dell’Occidente, negli ultimi secoli il caos è diventato un filone di studio della Fisica, della termodinamica, della Meccanica Quantistica, con lo sviluppo della Teoria del Caos a fare da guida.
Ed eccoci allora al presente, dove il Caos è soprattutto il non determinato, l’assenza di controllo, la mancanza di orientamento.
Dalla geopolitica all’economia, dalla crisi delle democrazie alla rivoluzione tecnologica, ogni realtà oggi è incrinata da un’assenza di stabilità, di previsione, e solo chi emerge come prossimo protagonista del futuro, scevro da ogni timore di cambiamento, può davvero considerare l’instabilità come nuova norma. C’è da chiedersi allora: può, il Caos, diventare realmente un’opportunità costruttiva, una promessa illuminante? E che cosa possiamo imparare dalla mappatura dell’attuale disordine che domina le nostre micro e macro-esistenze?
Questa, la linea tematica dell’ottava edizione del Festival Officine Permanenti, una riflessione a più voci, e con più livelli di lettura, che come ogni anno partirà da delle domande cardinali: quali sono i codici del Caos? Quali le forme, le evoluzioni nella storia, nella scienza, nel sociale, nel pensiero umano? Come, il Caos, domina il mondo che viviamo? Che rapporto esiste con le espressioni artistiche, musicali, comunicative, lavorative?
Il Festival esplorerà i confini fra pubblico e privato, fra ordine e disordine, fra certo e incerto: un’analisi corale che, attraverso la sovrapposizione di linguaggi, di visioni e di performance, svilupperà le diverse declinazioni del CAOS.